Inganni della rappresentazione

Non ha vinto il concorso per la torre della Défense. Non importa. Il progetto è pubblicato, una nuova promessa dell'architettura è consacrata. Dopo alcuni minuti di sincera ammirazione per l'opera del giovane talento comincio a domandarmi come diamine si raggiungerà, dall'interno dell'edificio, quell'occhieggiante giardinetto, lussureggiante di vegetazione, che si scorge lassù sulla sinistra, sarà forse al trentasettesimo piano del grattacielo. Sarebbe deludente scoprire che dietro al raffinato merletto hi-tech della facciata si nasconde una distribuzione di lunghi corridoi da realismo sovietico. O disimpegni periferici. Ma insomma, la questione è oziosa. Un po' come domandarsi se sull'Enterprise i bagni avevano la doccia o la vasca da bagno. L'equipaggio viaggiava verso nuove galassie, là dove nessun uomo è mai giunto prima, e buona pace per i bagnanti. E poi, nessuno ha mai visto una pianta dell'Enterprise. A pensarci bene, del resto, non riesco nemmeno a ricordare d'aver mai visto la pianta della maggior parte degli spaziali edifici prodotti dall'architettura occidentale contemporanea.


Ho la netta impressione che ultimamente la tendenza sia quella di proporre delle suggestioni, più che dei progetti. Sono ben rappresentate, coperte da lustrini, luccicanti. Estremamente accattivanti. Ma pur sempre suggestioni. La sostanza dei progetti sembra allontanarsi. Della irrinunciabile doppia fruizione che ogni edificio possiede, quella di chi all'interno di esso dovrà vivere, lavorare divertirsi e quella di coloro che invece percepiranno esclusivamente la presenza di un fronte stradale, un volume esteticamente caratterizzato, rimane quasi esclusivamente la seconda accezione. Certo la prima non è di facile rappresentazione, non fa presa sui non addetti ai lavori, non riesce a sedurre dalle pagine dei settimanali. Dobbiamo dunque domandarci come abbiamo raggiunto questo punto, la trasmissione dell'architettura con abbuffate di immagini, diventate talmente numerose da risultare insignificanti.
Una sciagurata e superficiale comunicazione ha svuotato di sostanza la maggior parte della produzione architettonica comunicata, da quella più alta all'edilizia.

Di fronte alla accresciuta consapevolezza dei cittadini che l'architettura in mano a pochi può risultare dannosa e che è invece necessario contribuire con le proprie idee ai processi di trasformazione urbana, la risposta è una rappresentazione ossessiva quanto parziale, frutto avvizzito di un travisato processo di democratica partecipazione, una sine cura per essere promossi da spettatori sostanzialmente ingannati, convinti avendo preteso e ottenuto un rendering, di riuscire ad esprimere un giudizio circostanziato su un'opera costruenda.
Occorre riflettere se l'inganno al quale assistiamo sia doppio, se abbia cioè coinvolto anche gli stessi progettisti, o se ciò che dell'architettura viene omesso nella comunicazione continui comunque ad esistere, ad essere al centro dell'attenzione e della ricerca. Gli organismi degli edifici, le loro distribuzioni interne, la loro vitalità, ciò che i progettisti consegnano affinchè sia utilizzato, vissuto, persegue la vitale ansia d'innovazione riservata al trattamento dei fronti, o tutto si è cristallizzato in stilemi fine novecenteschi? Oppure semplicemente non ci si pone più il problema?
Sull'argomento ci si sente poco rassicurati quando persino la stella anglo-irachena del firmamento architettonico internazionale ci descrive gli ultimi appartamenti che ha realizzato come un'esperienza spaziale unica. Spazio nel senso di luogo dove si vive. Ovviamente. O nel senso dell'Enterprise?